L’INDUSTRIA DELL’INSICUREZZA

Avete mai notato come il corpo femminile sia sempre messo in dubbio per la propria bellezza? Ormai, la maggior parte della pubblicità che ci ritroviamo sui social, in Tv e sulle riviste, è quella riguardante il mercato beauty. Eppure il grado di soddisfazione del proprio corpo (per quanto riguarda donne e adolescenti) è sempre più basso e, ormai, si sta normalizzando un senso di inadeguatezza. 

L’ideale di bellezza, che esiste da anni, vede un’immagine della bellezza parecchio limitata che rappresenta solo il 2% della popolazione, eppure questo ideale viene inseguito dalla maggior parte delle donne. Non è sempre stato così, però, basta guardare indietro agli anni 60’, per capire come lo standard di bellezza fosse molto diverso: un corpo formoso e in carne non era mai stato un problema.

Perché vorremmo o pensiamo di dover assomigliare a questo ideale mediatico?

E’ iniziato tutto un secolo fa, durante la prima guerra mondiale: con gli uomini assenti, in quanto impegnati al fronte, le donne si trovano da sole a coprire ruoli diversi, prima riservati solo al genere maschile, guadagnando così più indipendenza, soprattutto sul piano economico. 

L’indipendenza che si instaura non viene vista di buon occhio dal patriarcato, che ha trovato un ottimo modo per far spendere quei guadagni, mettendo in testa alle donne che il loro corpo era un problema, e che dovevano spendere i loro soldi e il loro tempo per sistemarlo. E qual è il modo migliore perché il messaggio sia recepito? Tramite i media e la pubblicità.

Il modo di fare pubblicità, dopo la seconda guerra mondiale, cambia radicalmente. Non vengono più commercializzati prodotti essenziali, di cui l’uomo ha veramente bisogno, ma viene imposto un modello consumistico. Da questo momento, l’uomo è spinto a consumare prodotti di cui non ha necessità, ma che in un certo senso elevano la percezione di sé. 

Pertanto, l’industria pubblicitaria aveva l’obiettivo di creare un prodotto che potesse risolvere un problema, ma allo stesso tempo doveva coinvolgere solo le donne. E così, da questo momento, tramite la pubblicità, la televisione e le riviste, iniziarono a porre dubbi e insicurezze sul corpo femmine, dubbi che in realtà erano e sono del tutto infondati. 

Il termine “cellulite” è apparso per la prima volta in un articolo sulla famosissima rivista Vogue, nel 1968, dove veniva descritta come un “attributo deturpante”. Eppure più del 90% delle donne nel mondo ha la cellulite, per cui la cellulite era considerata normale, prima di Vogue. Le parole che vengono utilizzate nella nota rivista non sono di origine scientifica, ma il metodo si è diffuso, infatti negli USA, diversi brand sono stati denunciati per “pubblicità falsa e ingannevole”  dalla FTC (Federal Trade commision). La vera cura per la cellulite non esiste, in quanto si tratta di una semplice condizione umana, trasformata strategicamente in una patologia femminile. Da lì in poi sarebbero comparsi migliaia di articoli in riviste femminili di tutto il mondo, che mettevano a disposizioni cure per altre “imperfezioni” di natura sempre infondata, con particolare focus sulla magrezza che con gli anni sarebbe diventata sempre patologica. Un ciclo continuo che continua ancora nei nostri giorni, con lo scopo di avvelenare la nostra autostima per arricchire l’industria della moda, della cosmetica e della chirurgia estetica. Industrie che vivono delle nostre insicurezze, proiettandosi sempre di più ad un ideale di bellezza inumano.